La Criminalità Organizzata in Italia
L’espressione “criminalità organizzata viene comunemente utilizzata per indicare l’insieme delle attività criminali compiute da persone che operano con una rete organizzativa articolata, con lo scopo di creare un profitto economico.
Tale profitto è inteso in senso lato poiché l’impresa criminale non ricerca fonti di profitto in una libera competizione con altre imprese, ma piuttosto fonti di rendita attraverso l’esercizio del potere. Anche se vi è da dire che la rendita è il profitto più sicuro e meno impegnativo di un’attività economica, quindi, lo scopo principale. Lo strumento di appropriazione della rendita è costituito dall’attività militare.
La presenza e la struttura organizzativa della criminalità in Italia è molto complessa.
Riguardo alla presenza, non è certo il collegamento con territori emarginati ed economicamente svantaggiati. Nel meridione esiste in Sicilia, Campania, Calabria e Puglia ma non in Basilicata, Sardegna e Molise, regioni parimenti emarginate e svantaggiate. Inoltre, negli ultimi decenni, si registra la criminalità organizzata anche in alcune regioni più ricche del settentrione, più vicine al nord Europa.
L’elemento comune dei territori in cui è presente la criminalità organizzata è il grado organizzativo che ogni comunità ha sviluppato per affrontare e superare l’incertezza e l’insicurezza economica che lo Stato non assicura ed il singolo individuo non può soddisfare percorrendo attività “legali”.
Per questi motivi si registrano forme organizzative diverse, elaborate da ogni singola comunità: la creazione solidale di compari (soci) della Camorra a Napoli; il legame della “Banda” della Sacra Corona Unita e de La Rosa in Puglia; il vincolo da clan famigliare della Ndrangheta in Calabria; la struttura statale della Mafia in Sicilia.
Nel nord Italia, l’organizzazione si presenta più flessibile, mediante lobby e associazioni temporanee per singoli affari o settori di attività.
Sempre per affrontare l’insicurezza economica, le attività esercitate si presentano diverse nel tempo e nel territorio. All’iniziale obiettivo di assicurarsi solo una rendita parassitaria – quali il pizzo, la tangente, le tasse illegali – sono succedute attività di servizi e produttive operate con concorrenza sleale. La criminalità organizzata interviene, quindi, nel campo degli appalti ed in ogni situazione interessata da finanziamenti pubblici in modo da accaparrarseli con metodi illeciti e violenti. Conseguentemente, la criminalità è presente nel settore finanziario, bancario, delle costruzioni e dell’industria manifatturiera.
Oltre all’economia tradizionale – sempre per vincere l’insicurezza economica – la criminalità organizzata ha creato o si è appropriata di attività “nuove” che la necessità di sopravvivenza aveva sviluppato. E’ il caso dei disoccupati che nella certezza di non trovare sbocchi occupazionali avevano inventato l’attività di parcheggiatore di automobili. O, ancora, delle scommesse clandestine; di guardiania delle abitazioni e dei fabbricati; della vendita al minuto di prodotti diffusi e di scarso valore (frutta, bigiotteria, abbigliamento, accessori auto, ecc.).
Permane l’esercizio di attività propriamente illecite, quali il traffico di umano, di armi e di stupefacenti. Per la stabilità del territorio, la criminalità organizzata tendenzialmente evita l’esercizio di alcune attività illecite, quali furti e rapine, che potrebbero creare insicurezza nella popolazione e perdita di riconoscimento.
Tutti questi elementi, oltre a rappresentare la complessità del fenomeno, denotano la sua radicalità nel territorio, ormai secolare.
Le forme organizzative criminali indicate, infatti, risalgono al periodo successivo alla decadenza dell’Impero Romano – ultima forma e presenza di Stato in Italia – ed all’inizio delle molteplici invasioni e dominazioni straniere, dei numerosissimi saccheggi e piraterie. La criminalità organizzata in Italia, quindi, nasce con l’inizio dell’incertezza ed insicurezza economica e permane in assenza di alternativa garanzia di sopravvivenza.
Per ciò, si afferma che l’aspetto criminale in Italia appartiene alla “cultura” degli abitanti di alcune regioni e territori del paese.