Combattere l’evasione fiscale? Certo. Ma come?
La campagna intrapresa dal governo Monti contro l’evasione fiscale procede a vele spiegate: dalle incursioni a Cortina e Courmayeur ai negozianti di Milano Firenze Roma Perugia fino al redditometro. La guardia di finanza si dà un gran da fare ed i tg nazionali riprendono gongolando. Dagli sotto all’evasore/parassita! Bene, si potrebbe dire, finalmente si intraprende la strada di combattere la piaga dell’evasione; giusto che tutti contribuiscano alle casse dello Stato perché questo così abbia le dovute risorse da destinare alla spesa sociale e quindi servizi ai cittadini.
A mio giudizio, però, questa campagna è ingannevole perché finalizzata a scaricare su determinati settori sociali non salariati la rabbia dei lavoratori salariati come se il buco di bilancio dipendesse dai primi. L’operazione Cortina ha avuto un alto valore simbolico: inquadrare nel mirino il nemico sul quale scaricare il caricatore, dando al popolo lavoratore tartassato e angariato da politiche di drastico attacco alle proprie condizioni di vita e di lavoro l’illusione che il governo dei tecnici stia lavorando per rimettere al posto le cose per far meglio ingoiare il boccone amaro dei sacrifici. A scanso di equivoci, non è assolutamente mia intenzione giustificare la pratica diffusa dell’occultamento del reddito percepito da parte di tutti quei settori non dipendenti, è giusto che nella società tutti contribuiscano a versare nelle pubbliche casse la propria parte secondo il criterio egualitario «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva» essendo il nostro un sistema tributario informato a criteri di progressività, per cui chi più ha più deve mettere, detta più semplicemente. Quindi se il sistema facesse davvero pagare tutti i contribuenti (aumentando l’aliquota massima) in osservanza di questo principio sarebbe più che meritoria la campagna governativa tesa a stanare gli evasori. Ma non funziona così, i lavoratori salariati pagano fino all’ultimo centesimo, su questo non si scappa, nel lavoro autonomo e della piccola imprenditoria spesso si evade, nell’area del grande capitale parliamo di altro, parliamo più che di evasione di elusione fiscale. Il governo Monti –espressione del grande capitale, in particolare finanziario – ha avviato questa campagna anti-evasione che concentra l’attenzione sui settori – non a composizione omogenea – della piccola imprenditoria e del lavoro autonomo.
Il governo presieduto dal sobrio professore in loden (che ricorda ai giovani che il lavoro fisso è monotono) accreditato presso i grandi poteri internazionali (Trilaterale, Nato, Goldamn Sachs, Bildemberg) – che può permettersi, diversamente da Berlusconi, di parlare a pieno titolo con Merkel e Sarkozy sol perché i poteri forti di cui è emanazione lo vogliono – non ha attivato questa campagna in quanto animato da universalismo buonista, ma in quanto la crisi capitalistica richiede feroci politiche da “lacrime e sangue” e queste possono essere meglio gestite se si crea nella società un clima di diffidenza generalizzata, in cui i ceti dominati devono scannarsi fra di loro pensando che la malasorte dipenda dal fatto che il macellaio non rilascia lo scontrino.
Le grandi imprese sottraggono ingenti risorse alle casse pubbliche agendo nella legalità con l’elusione fiscale. I nostri super liberisti –ammiratori e sostenitori del fisco americano che non guarderebbe in faccia nessuno, il paese dove se non paghi le tasse ti sbattono in galera – fanno finta di non sapere che le aziende statunitensi riescono ad eludere circa 100 miliardi di dollari di tasse in modo perfettamente legale ricorrendo ai paradisi fiscali. Nel 2010 il 25% dei grandi managershanno guadagnato più di quanto le loro aziende hanno versato al fisco, sono stati premiati in quanto sono riusciti a far pagare meno tasse alle loro aziende. Le aliquote fiscali praticate negli USA: nel 1957 l’aliquota massima era del 91%, nei primi anni ’70 cala al 62%, attualmente passa al 39%. Si tratta di una tendenza nota in tutti i principali paesi capitalistici (Italia compresa). Pur essendo in Usa la pressione fiscale appena intorno al 24% del PIL i paradisi fiscali che si trovano nel territorio americano o nella sua orbita di influenza, sono affollatissimi: a Willmington, capitale del Deleware, hanno la propria sede duecentomila società in un solo palazzo. Le grandi imprese sono capaci di condizionare e ricattare gli Stati – sia pure uno Stato forte come quello USA: quando lo Stato fa una politica sgradita alle grandi imprese, che condizionano l’economia mondiale, queste ultime non ci pensano due volte a disinvestire i propri capitali dal paese determinando uno sfascio economico. Possono, inoltre, colpire il debito pubblico di un paese disertando le aste dei titoli o speculando al ribasso; lo stesso possono fare contro le monete; possono far ricadere i costi fiscali sugli altri (i consumatori). L’economista Antonio Carlo, nel suo studio Capitalismo 2011 (dal quale ho tratto i dati di cui sopra), cita il caso del grande capitalista Warren Buffet che espresse il desiderio di pagare le tasse della sua segretaria e cioè il 40% della sua base imponibile pagando lui solo il 17,4% della stessa. Dopo elogi sperticati a Buffet – manco fosse un redivivo San Francesco d’Assisi –, il Wall Street Journal di Murdoch lo ha mandato all’inferno.
La “crisi di bilancio” non nasce dall’evasione fiscale praticata da lavoro autonomo e piccola imprenditoria, realtà già tartassate – e spesso a rischio sopravvivenza – sulle quali i grandi redditi finanziari e speculativi vogliono aumentare i giri di vite per estorcere ulteriori fondi. La “crisi di bilancio” nasce da ben altre cause: secondo i dati della relazione del Tesoro al Parlamento, la spesa per interessi sul debito balzerà dai 77 miliardi del 2011 ai 94 miliardi stimati per il 2012, il tutto a vantaggio della grande finanza a dominanza USA. È utile ricordare come l’Italia abbia speso per il settore militare – secondo i dati del Sirpi – 27 miliardi di euro, a tutto vantaggio delle guerre imperiali condotte dalla Nato nel mondo, e continuerà a spendere cifre da capogiro nei prossimi anni, esempio 17 miliardi stanziati per i prossimi anni per l’acquisto dei cacciabombardieri F 35 Joint Strike Fighter. Quindi abbiamo enormi interessi sul debito ed enormi spese militari che prosciugano risorse che ben altrimenti potrebbero essere destinate al benessere della collettività.
Indicare, pertanto, nel lavoro autonomo, piccola imprenditoria, piccolo commercio, i responsabili del deficit statale ha una precisa motivazione: scaricare su questi ceti la rabbia del lavoro dipendente“garantito” (cioè contrattualizzato) che subisce attacchi (sul piano dei diritti, del salario, dell’occupazione) sempre più pesanti; del lavoro “non garantito” (precariato diffuso con paghe da supersfruttamento ai limiti della fame); dell’enorme e crescente esercito di riserva (disoccupati e inoccupati). Si vuole cioè favorire un clima di contrapposizione tra classi dominate, (anche se in rapporti differenti con la classe dominante) – che avrebbero più interessi a costruire legami che fratture – alimentando così contrapposizione ostilità “invidia” sociale ad esclusivo vantaggio della classe capitalistica dominante. In questo modo si determina l’approfondimento della degradazione complessiva dei rapporti sociali, sempre più impregnati di logiche mercatiste e liberiste che sono la negazione assoluta del principio di solidarietà sociale ed umana. Quello che manca all’oggi è la capacità politica di definire e mettere in atto una risposta adeguata alla crisi capitalistica che consideri con attenzione l’attuale composizione sociale, che non può ridursi ad una sola classe; per questo si devono neutralizzare le logiche strumentali e disgregative sostenute dalla classe dominante (di cui il governo Monti è piena espressione) e lavorare per costruire le opportune alleanze sociali in grado di sostenere un percorso di fuoriuscita dalla crisi capitalistica secondo linee di difesa degli interessi della parte maggioritaria della popolazione. I lavoratori dipendenti non devono cadere nella trappola di una certa“radicalità” classista, del tutto poi prona alla logica dominante del grande capitale.
Le grandi imprese, le banche, si avvalgono di stuoli di grandi studi associati di commercialisti ed avvocati – ben disposti alle liberalizzazioni montiane – esperti nella pratica dell’elusione fiscale, che altro non è che il modo legale di praticare l’evasione. Esperti conoscitori della oscura e smisurata legislazione italiana ed europea che riescono a risolvere i contenziosi con il fisco riuscendo a far pagare ai propri clienti cifre del tutto convenienti.
In conclusione, la campagna avviata dal governo Monti contro l’evasione fiscale figurata dalla faccia sfigata del semplice cittadino comune additato come parassita della società rientra a pieno titolo nella logica di difesa dei grandi interessi capitalistici, che si rappresentano invece figuratamente con il maglione di Marchionni, il loden di Monti, i toni pacati e sobri dell’uomo di mondo che conosce il buon galateo non i modi sguaiati e sfacciati degli arricchiti frequentatori di Cortina. La piaga dell’evasione fiscale va combattuta secondo il principio sociale dell’equità, ma teniamo bene a mente che essa non potrà essere debellata senza mettere in discussione il sistema che la genera.
Antonio Catalano